L’analisi del Search Intent è uno degli aspetti più spinosi nel processo di definizione dei punti di accesso organici di un sito web. Sfortunatamente (o fortunatamente per chi trova questa lavorazione divertente!), è anche uno dei più importanti step da scalare per arrivare a definire una strategia di posizionamento ragionata e quanto più possibile efficace.
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ToggleIn questo articolo analizzeremo quali sono i principali snodi da percorrere per arrivare a rispondere alla domanda che tutti i SEO, almeno una volta nella vita, si sono posti: dove le metto queste keyword?
Cos’è il Search Intent
Sotto il termine Search Intent (o “intenzione di ricerca”, “intento di ricerca”), rientrano generalmente molte definizioni differenti: alcuni parlano di “necessità”, altri di “obiettivi”, in alcuni casi di “desideri” o “bisogni”. Il tutto, ovviamente, sempre riferito all’utente.
Il Search Intent è l’obiettivo dell’utente nel momento in cui apre un browser, va su Google (o su un qualsiasi motore di ricerca!) e digita una query nel box di ricerca. Obiettivo che, ovviamente, nasconde talvolta una necessità, altre volte un desiderio, qualche volta un bisogno.
É difficile dare una definizione definitiva al termine Search Intent perché, tutto sommato, non abbiamo realmente modo di comprenderlo con certezza. Se l’utente cambia la sua query subito dopo averla digitata (perché non è soddisfatto dei risultati, perché vuole qualcosa di più specifico o per qualsiasi altro fra i milioni di motivi possibili), il Search Intent è cambiato? Oppure è cambiato soltanto il modo in cui l’utente vuole raggiungere il suo obiettivo, soddisfare la sua necessità? O entrambe le affermazioni sono vere?
Il tutto senza contare almeno due fattori fondamentali:
- quante persone utilizzano la/le stessa/e query con intenzioni differenti?
- quanto capisce realmente un motore di ricerca delle intenzioni racchiuse in una frase?
Dura, eh? Vediamo se riusciamo a renderla, se non più complicata, almeno meno complessa.
Search Intent e tipologie di query di ricerca
Uno dei primi metodi utilizzato dai SEO per comprendere l’intenzione di ricerca degli utenti è quello di analizzare keyword e query identificate in fase di keyword research (se hai perso il post ti consiglio di recuperarlo prima di proseguire nella lettura!).
Una volta eseguita una keyword research, come prima operazione si prova a suddividere keyword e query fra i 3 macro tipi di query quasi universalmente accettati: transazionale, informativo o informazionale, e navigazionale.
Transazionali
Quando si parla di query transazionali si fa riferimento a quelle parole chiave che sembrano manifestare un’intenzione di ricerca legata all’acquisto di prodotti e/o servizi da parte di un utente.
Si parla, in questo caso, di query come “macbook pro 14”, “letti matrimoniali”, “scarpe con tacco nere” e tutta la categoria di parole che suggeriscono la ricerca di qualcosa che non vada “compreso”, ma “acquistato”.
Come arriviamo a questa prima tipologia di analisi? Semplice: osservando le SERP generate dalle query che abbiamo trovato. Dando uno sguardo alle due immagini sottostanti, che fotografano la SERP generata dalla query “letti matrimoniali”: quali elementi saltano subito all’occhio?
- quantità di annunci google ads search estrema, segno che in questa SERP probabilmente girano parecchi soldi;
- quantità di annunci google ads shopping altrettanto estrema, idem come sopra;
- SERP organica occupata quasi esclusivamente da ecommerce o negozi di arredamento;
- correlate legate quasi esclusivamente a marchi di arredamento o caratteristiche del prodotto;
- tab di google shopping al secondo posto, subito dopo la tab generica “tutti” (per chi avesse perso il punto dove guardare, sono le tab delle varie SERP di Google sotto la barra di ricerca).
Informative o informazionali
In linea di massima, le query informative sono query che indicano un’intenzione rivolta più al reperimento di un’informazione, che non a una azione.
Rientrano in questa macro categoria parole chiave legate al mondo dei tutorial, delle guide, del “come fare a” et similia, ma anche quella tipologia di ricerche legate ai confronti (“prodotto x vs prodotto y”, ma anche “brand x vs brand y” e via dicendo), alle recensioni (“prodotto x recensioni”) e alle classifiche (“miglior prodotto per x”).
In questi ultimi tre casi, più che di informativo puro si parla di query di indagine commerciale. Generalmente, l’obiettivo primario sembra comunque essere quello di informarsi, piuttosto che effettuare una conversione.
Diamo un’occhiata alla SERP generata dalla query “cosa vedere a Roma”.
In questo caso, possiamo osservare:
- quantità di annunci google ads molto limitata;
- presenza del Knowledge Graph;
- risultati organici totalmente informativi;
- correlate che suggeriscono ulteriori query informative;
- tab di Google in cui, alla scomparsa totale di shopping, fa da contrappeso la presenza di Maps, Immagini, News e Video.
Navigazionali
Per comprendere bene le query navigazionali, si può pensare che queste siano per lo più rivolte non tanto a un’informazione o un prodotto/servizio, quanto a un Brand.
Rientrano nel novero delle query navigazionali tutte quelle ricerche che associano a un prodotto/servizio/informazione anche il nome del sito o del Brand che l’utente vuole raggiungere. Ad esempio, “zalando stivaletti”, “amazon hard disk esterno”, “giallo zafferano ricetta carbonara”.
Qui l’elenco puntato è superfluo: dalle immagini il risultato parla da sé.
Attenzione!
Sempre vigili a non confondere una query navigazionale da una transazionale. Come può succedere? Pensate a una query di ricerca come “scarpe nike”. Sarà una query navigazionale o transazionale? L’utente vuole il sito Nike o si accontenta di un qualsiasi rivenditore? E ancora: saranno entrambe valide?
Dove cercare la risposta? In SERP!
Divisione query per intenti di ricerca
Ok, ora abbiamo un’idea di quali query abbiano un’intenzione più o meno informativa, quali siano più golosamente transazionali e quali, invece, riguardino un Brand (il nostro o quello di un competitor, cosa utile per verificarne la competitività… ma questo è un altro argomento).
Per completezza di informazione, è bene dire che i tre tipi di cui sopra sono quelli, come detto, universalmente riconosciuti. Esistono un gran numero di sotto-varietà di query che, spesso, vengono chiamate in causa a seconda della necessità. Basti pensare alle query Local, che forniscono SERP verticali su una zona specifica, sia nella SERP organica che nel Local Pack.
Il secondo step per “analizzare il Search Intent” è comprendere se due o più query (per comodità, un set di query), generino SERP simili o differenti. Ciò ci permette di capire se un set di query deve essere utilizzato per ottimizzare un singolo contenuto o se query differenti debbano avere sede in contenuti differenti.
Esistono un’infinità di Tool che permettono di fare questa operazione ma, per avere un colpo d’occhio immediato ed esaustivo, si può andare direttamente in SERP e confrontare i risultati ottenuti inserendo, volta per volta, le query oggetto dell’analisi.
Anche in questo caso, attenzione: per considerare due risultati uguali (e quindi con un’intenzionalità assimilabile e non differente), non è sufficiente trovare lo stesso dominio, quanto la stessa pagina dello stesso dominio.
Due esempi: confrontiamo “cosa vedere a roma” con “luoghi da visitare a roma” (prima immagine) e con “cosa vedere a roma in un giorno” (seconda immagine).
Chiaro, no?
Nella prima SERP, abbiamo evidenza che i due termini ricercati (“cosa vedere a Roma” e “luoghi da visitare a Roma”), denotano un’intenzione di ricerca piuttosto assimilabile, perché i risultati indicizzati da Google sono i medesimi, seppure il loro ranking non sia speculare (questo può capitare per un miliardo di fattori: la stessa pagina può essere meglio ottimizzata per un set di query piuttosto che per un altro, ci sono più pagine in competizione per un set di query piuttosto che per un altro, e via dicendo).
Nella seconda, è evidente come chi cerchi “cosa vedere a Roma in un giorno” abbia un’intenzione abbastanza differente da chi cerca “cosa vedere a Roma”. Perchè magari è a Roma di passaggio, o si trova a sostarvi poche ore nell’attesa di un treno, o sta partecipando a un viaggio di lavoro e non ha tempo da perdere. Chissà!
In questo modo, aggiungiamo un ulteriore tassello alla nostra comprensione di come usare le query che abbiamo identificato in fase di keyword research. Nel primo passaggio, abbiamo definito a quale famiglia appartengono i termini, nella seconda quale relazione possiamo attribuirvi, ovvero quali query devo utilzzare in quali pagine.
L’ultimo step è capire quanto le query sono vicine al nostro obiettivo.
Search Intent applicato a keyword, query generiche e long tail
Come accennato parlando di keyword research, abbiamo preso l’abitudine di suddividere virtualmente i termini di ricerca di nostro interesse in tre modi: keyword, query e long tail.
Dopo aver visto come riconoscere la tipologia di query (informativa, navigazionale e transazionale) e aver compreso come suddividere le query all’interno dei contenuti e della struttura del sito, vediamo come riconoscere quando un termine è più o meno in linea con i nostri obiettivi.
Keyword e intenzioni di ricerca
Quando parliamo di keyword, generalmente facciamo riferimento a delle parole estremamente generiche che, se private di elementi di caching o cronologia, risultano spoglie di contesto.
Ad esempio, prendiamo il termine “roma” e studiamone la SERP relativa.
Quanti potenziali Search Intent ha questa SERP?
Un vero e proprio tripudio di intenzioni differenti. Da chi è interessato a informazioni istituzionali (blu), allo sport (rosso), alle informazioni generiche (verde) fino al turismo (giallo).
Una keyword generalmente non ha un Search Intent definito. Mancando di contesto e carica di volume di ricerca, è spesso causa di una frammentazione della SERP che genera una riduzione drastica degli spazi di posizionamento disponibili.
Nell’esempio di “roma”, se io avessi un travel blog e puntassi quella keyword, probabilmente dovrei considerare la prima pagina come una SERP da uno-due risultati, di cui uno (come da screenshot) occupato dal sito istituzionale del turismo di Roma.
La punto comunque, sperando di diventare più autorevole del sito ufficiale del turismo a Roma? Ci rinuncio? Dipende un po’ dalla strategia SEO che si sta seguendo, se si è interessati al traffico puro o all’avvicinamento del cliente a una conversione (vendo visite guidate? Vendo ebook di tour a Roma?), se si ha un grandissimo budget da investire, nel tempo, per una strategia di link building di alto livello. Esistono moltissimi fattori da considerare e, nella stragrande maggioranza dei casi, questi fattori sono influenzati dal contesto, e quindi da valutare caso per caso.
Quel che è certo è che, attaccando delle keyword, la difficoltà di posizionarsi e aumentare il traffico organico da quel singolo punto risulta molto, molto complesso.
Query e intenzioni di ricerca
Quando parliamo di query, facciamo riferimento a un insieme di keyword che forniscono al motore di ricerca un topic e un’intenzione di ricerca. É sulle query che, generalmente, si riesce a distinguere e dividere i termini nei macro-gruppi informativo, transazionale e navigazionale.
Interrogare il motore di ricerca con una query offre risultati molto più chiari, che diventano più netti via via che la query diventa più specifica (da query a long tail).
Le due query di ricerca “cosa vedere a roma” e “cosa vedere a roma in un giorno” sono molto, molto più in target per me che ho un blog di viaggi.
Qual è il Search Intent di queste due query? Sicuramente possiamo ipotizzare che gli utenti stanno cercando luoghi e punti di interesse presenti a Roma. Possiamo però ipotizzare che siano in procinto di fare un viaggio? O che stiano semplicemente colmando una curiosità e che viaggiare non sia nei loro piani?
No, semplicemente no. Dobbiamo testare!
L’intenzione di ricerca nelle SERP ibride
Tutto quello che abbiamo detto finora vale solo e soltanto fino a che le cose non cambiano.
Può sembrare una banalità, ed effettivamente lo è ma soltanto nel caso in cui si presti davvero attenzione a come cambiano le SERP, nel tempo, quando:
- gli utenti cambiano abitudini di navigazione, perché sollecitati da fattori esterni, da nuove consapevolezze sui Brand e sui prodotti, e via dicendo;
- Google cambia le valutazioni algoritmiche, con update o correzioni che intaccano il ranking dei risultati in SERP.
Molto spesso, questi mutamenti non sono improvvisi. Vengono percepiti come tali, ma nascono da modifiche che vengono introdotte nelle SERP gradualmente e che, molto spesso, si traducono in SERP ibride, in cui l’intenzione di ricerca non è univoca.
Ad esempio, la serp di “arredamento casa”.
Sia ecommerce che blog di arredamento. Il Search Intent qui è almeno doppio. Senza contare che, talvolta, è presente in SERP anche il local pack, che lascia suggerire che almeno una parte dell’utenza che utilizza questa query cerchi un negozio di arredamento “in zona”.
Solito ragionamento: attacco la query? Se si, come? Oppure è meglio ignorarla e concentrarmi su termini più specifici?
Anche in questo caso, le valutazioni dipendono dal ragionamento e dal caso.
Ad esempio, se ho un ecommerce di arredamento, posso scegliere di attaccarla almeno in tre modi:
- con un contenuto transazionale generico (ad esempio, la home, considerata come macrocategoria del sito);
- un articolo di blog, in cui fornisco indicazioni generica sull’arredamento della casa (e via di banner, link interni e via dicendo);
- se trovo un local pack, se ho una sede fisica e se voglio portare gente nel punto vendita, potrebbe in alcuni casi avere senso puntare a una pagina local e alla scheda mybusiness.
Attenzione però a come queste SERP evolvono nel tempo. Laddove oggi trovo, ad esempio, metà risultati informativi e metà risultati transazionali, non è detto che domani trovi la stessa proporzione: potrei vedere uno slittamento verso il transazionale o verso l’informativo, che mi deve portare a rivalutare il contenuto che ho deciso di posizionare per quel set di query.
Riepilogo e conclusioni
Di fatto, il Search Intent può e deve essere analizzato, ma è davvero difficile (se non impossibile) riuscire a comprenderlo a pieno. Quel che possiamo fare, come SEO, è essere consapevoli (d’altronde, facendo SEO…) di come:
- alcune query dimostrino un’intenzione più smaccatamente informativa, transazionale, locale o navigazionale;
- distribuire, all’interno dei contenuti del sito (occhio: anche un’immagine, un pdf o un video è contenuto), gli obiettivi di posizionamento dei set di query;
- riconoscere il grado di specificità di keyword e query per “puntare” direttamente alle SERP che riteniamo più proficue;
- monitorare le SERP nel tempo, per prendere in considerazione rettifiche o modifiche al lavoro svolto nel tempo.
Fatto questo, si tratta di scelte.
Sta a me, alla mia conoscenza del progetto, agli obiettivi da raggiungere, decidere quale strada seguire per ogni set di query preso in considerazione. Quale della/e intenzione/i di ricerca voglio perseguire e come farlo, fermo restando essere sempre pronti a correggere il tiro qualora il risultato del mio lavoro non sia in linea con quanto aspettato.
Alla fine dell’analisi del Search Intent, nel nostro caso ci troviamo con una mappatura simile a quella della keyword research, ma con le query raggruppate per intenzioni di ricerca e per obiettivo di posizionamento, così da arrivare a coprire tutti i punti di accesso che ha senso coprire lato motore di ricerca.
Tutto questo tenendo presente che, se la SEO rappresenta soltanto uno degli attori della strategia di digital marketing del cliente, comprendere la direzione del Search Intent degli utenti può essere fondamentale per fornire assist ai colleghi di altri canali.
2 risposte
Ciao! e per quanto riguarda le tipologie di keyword che alcuni SEO descrivono come Vital e Personalized?
” ̶a̶b̶b̶i̶a̶n̶o̶ ̶i̶n̶ ̶p̶r̶o̶c̶i̶n̶t̶o̶” secondo me è meglio dire “siano in procinto”
Buona giornata!
Ciao!
Grazie per lo spunto, effettivamente “abbiano in procinto” è brutto come una penalizzazione algoritmica 🙂
Andando diretti alla tua domanda, onestamente non ho mai sentito parlare di keyword “vital” o “personalized”; immagino sia una delle tante nomenclature specifiche di cui accenno nel post (“Esistono un gran numero di sotto-varietà di query che, spesso, vengono chiamate in causa a seconda della necessità.”).
Nell’economia di questo specifico articolo, il messaggio è proprio quello di non fermarsi al “tipo” di query, quanto indagare tutto l’universo che c’è dietro alle singole parole. Mi sbilancio dicendo che – seppure capire il “tipo” di query sia importante per capire la tipologia di contenuto da realizzare – si possano far tutte rientrare nella triade informativo/transazionale/navigazionale.
Se però ci trasmetti qualche dettaglio in più sulle due tipologie di cui parli, possiamo approfondire: non è detto che siano query che conosciamo con altri nomi!