Per anni i SEO truffatori hanno guadagnato alle spalle delle piccole e medie imprese. In tutto il mondo stanno arrivando le prime denunce e i primi provvedimenti a tutela dei tanti professionisti SEO seri e competenti.
Il tutto è partito come sempre dall’America con una notizia di qualche settimana dove si diceva che Google ha fatto causa al Supreme Marketing Group (d / b / a Small Business Solutions) riuscendo a mettere la società fuori mercato.
Notizia di giornata, o quasi, è che anche l’Australian All Business e Family Enterprise Ombudsman (ASBFEO) ha iniziato ad intraprendere tutta una serie di procedure disciplinari nei confronti dei truffatori della SEO.
I truffatori della SEO anche se sembra più un titolo di un film che un male comune sono aumentati negli ultimi anni in modo vertiginoso.
L’ombudsman Kate Carnell ha affermato che l’industria è piena di “storie dell’orrore” in cui le piccole e medie imprese (PMI) vengono giornalmente truffate dai sedicenti consulenti SEO “over-promising and under-delivering” ossia dei veri e propri truffatori dalle facili promesse che però, puntualmente, non riescono a mantenere.
Le nuove regolamentazioni contro le truffe SEO.
L’Australia ha quindi iniziato questa crociata digitale invitando le PMI australiane a farsi avanti per raccontare le loro storie. Lo scopo non è solo quello di portare alla luce le truffe e i raggiri, ma è soprattutto quello di realizzare un report da presentare alla Australian Competition & Consumer Commission nel tentativo di sollecitare nuovi regolamenti al passo con i tempi.
Anche perché tra denunce e avvisi i numeri ad oggi sono veramente scarni, e quest’azione è volta soprattutto alla sensibilizzazione degli imprenditori che spesso non riescono a capire fino in fondo cosa veramente fa una web agency.
Secondo quanto riferito l’ACCC ha già iniziato ad impegnarsi in un’ampia “digital platforms inquiry” attivandosi per relazionare un’inchiesta sulle piattaforme digitali, anche se ad oggi sembra che l’argomento sia fin troppo generalizzato e non specificatamente focalizzato sulle pratiche del settore SEO.
Anche perché l’ASBFEO non ha una vera è propria autorità regolamentare, ma al massimo può investigare e difendere ma non creare autonomamente nuovi regolamenti o farli rispettare.
I SEO truffatori sono anche in Italia
Sempre più spesso leggiamo nei tanti gruppi e forum italiani dedicati alla SEO di sedicenti SEO specialist che promettono risultati certi e garantiti.
Una sorta di certificazione ad libitum che spendendo poco e senza durar la minima fatica permette loro di portare qualsiasi sito nei primi posti dei motori di ricerca.
E se chi come il sottoscritto dopo 22 anni che opera a vario titolo nel settore dell’informatica, del digitale e del giornalismo continua a credere che presto e bene difficilmente vanno di pari passo, è perché negli anni ha vissuto la nascita di Google e non solo.
Se fino a qualche hanno fa le tecniche di black hat SEO potevano portare a qualche risultato interessante, oggi più che mai, soprattutto con Google Brain, le tecniche di indicizzazione veloce sono da ritenersi solo ed unicamente dannose.
La principale difficoltà resta sempre la stessa. Un consulente SEO, prima di tutto, dovrebbe sempre essere chiaro e puntuale, spiegando ma soprattutto consegnando ai propri clienti report sempre aggiornati sulla attività svolta e sull’andamento del sito web gestito.
Al contrario i sedicenti SEO operano nell’ombra, giocando sul male comune del “tanto ho pagato poco” e quindi non vale la pena denunciare la truffa.
Se pensiamo che in Australia lo scorso anno ci sono stati appena 100 reclami circa relativi alle truffe SEO è facile fare le proporzioni su quante denunce ed esposti sono stati fatti in Italia.
L’ufficio di ASBFEO ritiene che la maggior parte degli impegni SEO risultati nel tempo fraudolenti non vengano segnalati, perché come succede anche in Italia, e come ricorda Carnell in un’intervista rilasciata alla rivista SmartCompany la mancanza di regolamentazione ha permesso a “un campo minato di professionisti malintenzionati” e ai truffatori di prosperare.
Negli Stati Uniti, come ricordavamo ad inizio articolo, Google ha intrapreso tutta una serie di azioni periodiche contro le frodi e gli abusi SEO.
La classica truffa, come tutti noi SEO italiani conosciamo è quella che molti truffatori si presentano alle aziende locali sotto mentite spoglie, generalmente dicendo di essere un’agenzia Google partner.
Nel Regno Unito, nel 2017, è stata chiusa un’azienda chiamata Movette, che utilizzava tattiche fraudolente per vendere un servizio di gestione delle inserzioni di Google My Business.
Google ha inoltre creato un centro per i reclami , in cui le persone possono segnalare violazioni di terze parti delle norme di Google. Basti pensare che i dati dell’indagine ci dicono che le PMI statunitensi ricevono più di 20 contatti di vendita al mese da società che cercano di acquisire la loro attività di marketing. La maggior parte di questi non è fraudolenta.
Tuttavia, quotidianamente, ci sono parecchi robot che inviano e-mail con oggetto tipo “la tua inserzione su Google non è verificata” e operano in un’area molto grigia che è essenzialmente ingannevole.
Le frodi o la truffe SEO rivolte alle piccole imprese è un problema significativo in Italia come poi un po’ in tutto il resto del mondo. La chiusura di aziende truffatrici aiuta a fare pulizia, ma il problema è molto più radicato di quanto apparentemente possa sembrare.
Sebbene Google abbia intrapreso azioni legali e abbia permesso di sporgere reclami direttamente, c’è ancora molto da fare per educare le piccole e medie imprese su come individuare i truffatori della SEO o quali procedure adottare in caso di risultati promessi (e pagati) ma mai ottenuti.
[via searchengineland.com]