Nel fare ADV, comprendere il mindset dell’utente è tutto. Come dire: se non riesci a cogliere come pensano i tuoi potenziali clienti, sarà piuttosto difficile riuscire a vendergli qualcosa.
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ToggleSi potrebbe affermare che Facebook, tra tutte le piattaforme pubblicitarie, sia quella in cui il mindset dell’utente è più… flessibile. Nella stragrande maggioranza dei casi, un messaggio pubblicitario erogato in Facebook – se non ben pensato – risulta poco più incisivo di uno spot in TV.
Conosci la situazione.
Sei in Facebook, alla fine di una giornata lavorativa.
Qualche chat aperta con i tuoi amici.
Un paio di like e commenti a qualche video.
Un commento a quel buon ristorantino di pesce di venerdì sera.
Poi, l’ennesimo annuncio a pagamento.
Un rapido scroll.
E si ricomincia.
Una volta in Facebook, quanto è ancora caldo il tuo utente?
Quanto vuole davvero ricevere il tuo annuncio?
Il punto è che non esistono strumenti precisi per valutare il mindset di un utente, se non coltivare quella sensibilità necessaria, nel tempo, per mettersi nei suoi panni e capire a che punto ci si trovi nel flusso di inbound.
Il flusso di inbound: attrai, converti, chiudi e delizia.
Ricordi?
Facebook è solitamente un canale che trova più spunti sulla sinistra, inizialmente, quando ancora dobbiamo giocare le nostre carte per attrarre e convincere il pubblico giusto a fidarsi di noi.
Alcune buone domande
Così, un annuncio valido per tutti non può bastare. Un singolo messaggio erogato indistintamente al proprio target – pure al target giusto – può arrivare con il tempismo sbagliato. Ragionare in ottica di funnel significa invece chiedersi, prima ancora di stendere un annuncio:
- L’utente ha già interagito con la mia pagina?
- È già stato sul mio sito?
- In quali sezioni?
- Quanto spesso?
- Nell’arco di quale periodo di tempo?
- Da quale dispositivo?
Un approccio, basato su strumenti che già possiedi
Percepire il contesto in cui l’utente si trova è una questione delicata.
L’errore più grossolano che vediamo compiere – e in cui tutti ci siamo trovati, dall’altro lato – è il vederci inseguire da annunci che strillano un prodotto che abbiamo già comprato. Quella che avrebbe potuto essere un’efficace strategia di upselling in remarketing, o di spunti per deliziare l’acquirente finisce invece nel caso peggiore per infastidire, martellando un messaggio inefficace e nel tempo sempre più controproducente.
Interpretare il mindset significa anche predisporre la raccolta delle giuste informazioni per poter architettare il messaggio migliore. Come dicevo è un approccio, piuttosto che uno strumento.
Un primo, basilare step nel seguire la crescita del potenziale cliente passa proprio dal remarketing. Tutte le volte che Facebook ci chiede di inserire una durata per un segmento di pubblico creato sulla piattaforma – pure permettendo valori di 180 o persino 365 giorni in molti casi – in realtà ci sta implorando di riflettere sulle intenzioni dell’utente. Di partire da ciò che l’utente ha vissuto con il nostro prodotto, con le nostre pagine.
Per quanto possa apparire intrigante applicare una durata massima quanto più estesa possibile, è quantomeno improbabile che un utente in visita sul nostro sito negli ultimi sei mesi possa, con la stessa forza di un utente che ci ha visto negli ultimi 7 giorni, seguire il nostro annuncio. Perlomeno, appunto, non con la stessa forza, né con lo stesso messaggio.
Alcuni esempi
Così, potremmo ipotizzare che un utente in visita al nostro sito, per la prima volta, in homepage e in alcune pagine minori ma non in determinate pagine chiave, sia da considerare un utente “giovane”. Perché no? Ancora tutto da coltivare con messaggi introduttivi e contenuti appetitosi da leggere. Su di lui potremo tornare con una strategia di remarketing fatta di contenuti editoriali e di spunti a micro-conversioni, quali l’applicare Like alla pagina Facebook o interagire con un contenuto selezionato.
Lo stesso utente, nel tempo, potrebbe decidere di approfondire questo tipo di “morbidi” messaggi proprio perché la loro erogazione è determinata da un periodo di ritenzione dell’utente nella lista di remarketing molto breve, per esempio di soli 14 giorni. Superata tale soglia, senza ulteriori interazioni, l’utente potrà essere considerato, diciamo così… meno interessante e destinato a un tipo di campagna in grado di coprire il periodo che va da 14 a 45 giorni, ovvero tutti coloro che non hanno interagito con il nostro brand da due settimane o più.
Con una semplice divisione di questo tipo ipotizziamo che il nostro migliore utente sia prima di tutto una persona che ha approfondito i nostri contenuti e ha interagito con essi nel breve periodo. Solo allora potremo, a tutti coloro che hanno effettivamente manifestato questo tipo di attenzione recente, erogare un messaggio più spiccatamente commerciale con la massima probabilità di conversione.
Nello step successivo, una volta portato l’utente sulla specifica landing page, potremmo ragionare diversamente. Potremmo ipotizzare due segmenti di pubblico: uno più generale, composto da tutti coloro che hanno visto la landing negli ultimi 7 o 14 giorni e uno più specifico, che consideri anche la frequenza con cui l’utente è tornato sulla landing, nello stesso periodo. Potremo così seguire l’intenzione dell’utente fornendo un primo promemoria sui prodotti o servizi a chi ha visto sporadicamente la landing nelle ultime due settimane e un messaggio più esplicito a chi, invece, vi è tornato ripetutamente e con maggiore interesse.
La complessità del guardare al percorso dell’utente all’interno del ciclo d’acquisto ci ricorda come fare ADV, soprattutto in contesti più delicati rispetto al rispondere a un’esigenza esplicitata – pensa solo a AdWords – sia questione di pianificazione. La difficoltà non è mai progettare l’annuncio in sé o sviluppare il copy più persuasivo. Prima, molto prima di questi temi è l’architettura stessa dei nostri messaggi e la loro destinazione che rende possibile ottenere buoni risultati.
Una risposta
Gran bell’articolo! Breve, semplice e molto efficace. Grazie