Branded content e native advertising: cosa sono, differenze ed esempi

Branded content

La maggior parte dei giornalisti quando ne sente parlare arriccia il naso pensando che si tratti di una delle tante trovate del marketing o che il web abbia rovinato una certa purezza della stampa. Nel mondo del copywriting e dei blogger, viceversa, c’è chi lo considera un ottimo strumento ma anche chi lo conosce a grandi linee e non ne ha ancora intuito tutte le potenzialità.

Parliamo di branded content e native advertising che, a differenza di quanto erroneamente si crede, non sono solo contenuti “brandizzati” e pertanto pubblicitari, ma possono avere – e spesso hanno – una forte valenza informativa ed emozionale. Anche se a produrli direttamente o indirettamente sono le aziende.

In questo articolo vediamo le diverse caratteristiche del branded content e del native advertising e alcuni esempi di come vengono messi in atto dalle aziende e dai giornali.

Cos’è il native advertising

Per capire di cosa stiamo parlando, in fondo basterebbe tradurre in italiano l’accoppiata di parole “native advertising”. Si tratta di pubblicità nativa, che ha cioè l’aspetto di un qualsiasi prodotto editoriale – video, articolo, podcast, inchiesta, magazine, speciale ecc… – che viene pubblicato all’interno di un giornale o di un sito, blog ecc…, qualsiasi media digitale.

A differenza, però, della classica pubblicità che interrompe l’utente (come i pop-up, i banner ecc…), il native advertising rientra nell’inbound marketing e ha un formato che si adegua alla qualità dei contenuti presenti sul mezzo in cui viene pubblicato e non ne differisce per forma, funzione e qualità.

Un contenuto pertanto “nativo”, cioè nato per quel tipo di medium. Certo, sempre di pubblicità si tratta e pertanto al lettore questo deve essere chiaro. Il native advertising è infatti “dichiarato” con diciture come “contenuto sponsorizzato da”, “contenuto a cura di…” o con le parole “paid content” (contenuto pagato).

Anche la parola advertising a volte può fuorviare. Se è vero che l’obiettivo del native adveritising è di diffondere il brand, i suoi valori o di essere una risposta diretta a una call to action, questo non vuol dire che sia un contenuto meramente pubblicitario. Buona parte del native advertising ha uno scopo informativo e ci sono state addiritture delle inchieste, sponsorizzate dalle aziende e realizzate da giornalisti che non sono da meno di quelle tradizionali.

Esempi di native advertising

Cocaine Economics del Wall Street Journal

Uno dei casi più noti è l’inchiesta realizzata dal Wall Street Journal dal titolo “Cocaine Economics” sul traffico di cocaina. Un’inchiesta prodotta “indirettamente” da un’azienda, in questo caso Netflix, che doveva lanciare la serie TV Narcos, ma che è realizzata da giornalisti andando a fondo sull’impero della droga creato da Pablo Escobar.

Un esempio di native advertising che produce valore per il lettore ed è utile all’azienda per promuovere un suo prodotto evitando i classici 6×3, banner promozionali ecc.. O integrandoli con un contenuto altamente informativo.

native advertising

Per altro, che l’inchiesta sia sponsorizzata è chiaro fin dall’inizio: in alto al centro è infatti scritto “Sponsor generated content” con dei link (tracciati) che rimandano sia alla serie che al brand. Inoltre, sotto la voce “what’s this”, il Wall Street Journal chiarisce la natura del contenuto e che è stato prodotto dalla Wall Street Native Advertising dove comunque lavorano giornalisti.

MSC Crociere e Fanpage.it

Un altro esempio di native advertising è nostrano. È il caso di Fanpage.it, testata online italiane tra le più lette che ha una sua sezione dedicata a MSC Crociere.

Il contenuto, anzi i contenuti, sono in primo piano. Nella sezione, in cui l’intento di advertising è dichiarato fin da subito con il banner di MSC e scritta sotto che riporta il nome del brand, ci sono tantissimi articoli che hanno forma e qualità alla maniera di Fanpage e che appunto informano sul tema viaggi.

“Vedere Marsiglia in un giorno”, “10 luoghi da cui scattare foto mozzafiato”, sono solo alcuni dei titoli presenti nella home page di questa sezione. Quando si clicca dentro l’articolo lo stile è quello di Fanpage, ma viene subito dichiarato che si tratta di un “contenuto realizzato in collaborazione con MSC Crociere”.

Cos’è il branded content

Il branded content differisce dal native advertising sostanzialmente per il fatto che il contenuto sempre sponsorizzato dall’azienda, non è pubblicato su media digitali ma sui canali dell’azienda stessa o canali creati ad hoc. Obiettivo, come abbiamo visto per il native advertising, è parlare del brand ma non direttamente, puntando invece su suoi valori, cercando di creare connessione con i possibili consumatori o chi lo è già grazie a contenuti coinvolgenti e per molti versi innovativi.

Alcune aziende, poi, tengono a costruire internamente un team di giornalisti, content creator, grafici proprio per alimentare la loro sezione branded content, altre invece esternalizzano il servizio.

È molto facile confondere branded content con native advertising anche perché sono strettamente legati e forse non c’è una definizione univoca di cosa sia il contenuto brandizzato. Inoltre, ci si mette anche la parole branded che fa pensare che qualsiasi contenuto sponsorizzato sia per l’appunto branded content.

Chiariamoci meglio le idee con alcuni esempi.

Esempi di branded content

Dove Real Beauty Sketches

Uno dei casi più famosi sono certa lo conoscerai anche tu che stai leggendo. È il video di Dove dal titolo Dove Real Beauty Sketches, all’interno della campagna che l’azienda ha portato avanti per valorizzare la bellezza e l’unicità delle persone. Dove appare solo alla fine di un video in cui protagonisti sono un artista e una donna. L’artista ne dipinge il volto basandosi prima sulla descrizione della donna stessa e poi quella di un estraneo. I due ritratti non sono uguali: la donna si descrive peggio di quello che è in realtà.

Il video, lo sappiamo, è diventato virale tanto era coinvolgente, emozionante e tanto chi lo vedeva si rifletteva in quella donna.

A Modena Story

Infine, si può ovviamente fare branded content anche tramite i social. È il caso di A Modena Story, un’idea singolarissima che vede dietro Garage Raw, agenzia bolognese di content e digital marketing. Si tratta della prima storia raccontata come fotoromanzo proprio su Instagram.

Il brand è Fini, azienda produttrice di pasta fresca, e la storia vede un ragazzo e una ragazza, gente semplice, che si innamoranoe vivono la loro vita di giovane coppia in città.

branded content Una classica coppia che può andare al supermercato a fare la spesa e in cui tutti si possono immedesimare. Sullo sfondo, la città di Modena raccontata tramite un romanzo d’appendice che tanto successo aveva in passato ma anche adesso: basti pensare alla diffusione di giornali come Grandhotel, tuttora molto letti.

Conosci altri esempi di branded content e native advertising? Scrivici tra i commenti.

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