Le LSI servono o non servono alla SEO?
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ToggleQuesta domanda tiene banco spesso nei blog di settore e nelle riunioni di marketer, ma prima di cercare di dare una risposta a questo annoso dubbio dobbiamo capire cosa sono le LSI e come le giudica Google.
Solo fissando alcuni punti potremo comprendere perché c’è chi dice che queste parole chiave siano fondamentali per concorrere al primo posto della SERP e chi, al contrario, dice che non esiste nemmeno un algoritmo che le prende in considerazione.
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza (per quanto possibile).
Cosa significa LSI e cosa sono queste keyword?
Per capire cosa sono le parole chiave LSI bisogna, innanzitutto, rendere esplicito l’acronimo. Le tre lettere stanno per Latent Semantic Indexing, ovvero indicizzazione semantica latente.
È importante notare una cosa evidente ma che potrebbe comunque sfuggire: la definizione fa riferimento all’indicizzazione di un contenuto da parte del motore di ricerca attraverso l’analisi della semantica latente.
Quindi, per essere ancora più chiaro, l’algoritmo di Google non solo sarebbe capace di analizzare la parola chiave principale inserita in un testo e le relative keyword secondarie, ma sonderebbe anche il contesto attorno ad esse per determinare il posizionamento della pagina web.
Da questo ragionamento si può dire che i termini LSI siano semanticamente collegati all’argomento trattato nel testo senza essere sinonimi della keyword principale.
Essi sono da vedere come gruppi di parole o di frasi che hanno una relazione con la parola principale utilizzata per dire al motore di ricerca qual è il focus del contenuto e che aiutano la mente digitale a inquadrare meglio il topic.
Si può dire che le LSI keyword vengano utilizzate dall’algoritmo per uscire dalle ambiguità tipiche del linguaggio umano e che, di conseguenza, gli siano necessarie per dare all’utente la risposta più attinente alla query che ha formulato.
Esempi di LSI
L’esempio più comune quando qualcuno cerca di spiegare cosa sono le parole chiave LSI è quello che prende in considerazione la mela in inglese, “Apple”.
Mettiamoci nei panni di Google che legge nell’H1 del contenuto questa parola e deve capire in modo chiaro se si stia parlando del frutto o del brand tecnologico che tutti conosciamo.
Se “Apple” è la nostra keyword principale a fare la differenza nel dare un senso al contenuto saranno parole semanticamente vicine all’uno o all’altro ambito:
- Fruits, apple pie, pear, lemon
- Steve Jobs, iPhone, iOS, iTunes, Mac
Questo esempio di LSI è elementare e può fare capire semplicemente a cosa servono questi gruppi semantici che ruotano attorno a una parola chiave.
Basta pensare a termini ancora più ambigui agli occhi del motore di ricerca per capire quanto possano essere utili le parole che mettono a fuoco il contesto in cui esse vengono utilizzate.
In italiano possiamo prendere in considerazione il termine “strumento” per capire quanto potrebbe essere ambiguo se isolato e quanto diventi riconoscibile se associato, ad esempio, a “band”, “spartito”, “concerto” oppure a “misure di precisione”, “meccanica”, “officina”.
Secondo Google sono utili le LSI?
La domanda viene spontanea leggendo il paragrafo precedente, perché le LSI sembrano davvero necessarie al motore di ricerca per funzionare con efficienza.
Il problema sta proprio in ciò che viene dichiarato dall’interno di Google. John Mueller, Webmaster Trends Analysts di Google, in un tweet di luglio 2019 ha dichiarato:
“There’s no such thing as LSI keywords — anyone who’s telling you otherwise is mistaken, sorry.”
“Non esistono parole chiave LSI — chiunque dica il contrario si sbaglia, mi dispiace.”
Non c’è da meravigliarsi leggendo queste parole scritte da un tecnico che lavora allo sviluppo di una macchina che si evolve di giorno in giorno, perché il concetto di Latent Semantic Indexing è da considerarsi obsoleto.
Di LSI si è cominciato a parlare nel 1988, quando questa tecnica di indicizzazione fu ideata per gestire i database, quindi ben prima che internet e i motori di ricerca fossero quelli che utilizziamo oggi.
Una decina di anni dopo nacque Google e questa metodologia venne utilizzata per eludere il problema del keyword stuffing, ma ora questo sembra un sistema superato, visto l’avanzamento dell’algoritmo nella comprensione dei testi.
Perché creare contenuti con parole chiave LSI?
Immagino che arrivato a questo punto dell’articolo la tua confusione sia tanta, però avrai più chiaro il motivo per cui i SEO specialist si tirano i mouse quando discutono di questo argomento.
È il momento di mettere da parte, senza dimenticalo, l’ambito dell’ottimizzazione tecnica dei siti web e mettere i piedi nel campo in cui lavoro io e in cui le parole correlate semanticamente a una keyword principale diventano davvero importanti.
Chi come me scrive testi in ottica SEO per svariate piattaforme web (blog, siti, e-commerce, landing page, ecc…) deve vedere il Latent Semantic Indexing come un concetto attorno al quale costruire i contenuti.
La mia visione da copywriter o content writer mi fa considerare le LSI fondamentali per il Content Marketing e la SEO odierni, perché, nonostante sembri lontano il periodo del keyword stuffing, alle volte si può cadere nell’errore di pensare che una parole chiave inserita nel titolo e diverse volte nel corpo del testo sia sufficiente per rendere noto il topic a Google e all’utente.
A mio avviso, la keyword principale è il soggetto in primo piano del mio contenuto, ma i sinonimi, le keyword correlate e le parole LSI sono ciò che rendono nitido lo sfondo e, quindi, aumentano il valore del testo donandogli chiarezza e completezza.
Rendere esplicito il contesto aiuta il motore di ricerca a capire se il contenuto è giusto per la query digitata o dettata a voce dall’utente.
Per dare una conclusione del tutto personale a questa diatriba, penso sia calzante parafrasare la famosa frase di Eduardo De Filippo “essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male”, calandola nel settore del digital marketing e della SEO:
“Usare le parole chiave LSI è inutile, ma non usarle penalizza in SERP”.