Difficile resistere a 800 milioni di utenti che in Cina utilizzano internet e nonostante le preoccupazioni morali ed etiche Google si dice pronto al rientro dell’azienda nella Repubblica Popolare Cinese.
Non più tardi di lunedì scorso, nel corso di una conferenza tenuta a San Francisco, il CEO di Google Sundar Pichai ha apertamente parlato per la prima volta dell’esistenza di un motore di ricerca censurato creato appositamente per il mercato cinese.
Come i lettori più attenti ricordano Google aveva lasciato la Cina nel 2010 dopo che il proprio servizio di posta elettronica gratuito (Gmail, ndr) era stato violato da individui o gruppi affiliati al governo cinese.
Aver lasciato la Cina ha voluto dire per Google un passo indietro, sia a salvaguardia dei dati sensibili dei suoi utenti che in fatto di una perdita economica rilevante. Ecco perché i dirigenti di Google hanno da subito riflettuto su quando e come tornare nel più grande mercato internet del mondo.
Secondo il China Internet Network Information la Cina ha più di 800 milioni di utenti internet, e questi numeri fanno gola a Google, basti pensare che l’intera Europa ne conta “solo” 580 milioni circa.
Ecco perché durante la sua intervista sul palco Pichai si è concentrato sugli aspetti “positivi” del progetto Dragonfly, dicendo che verranno fornite informazioni migliori agli utenti cinesi e che la società sarà in grado di “servire ben oltre il 99 per cento delle richieste“.
In verità la notizia del progetto era già stata data in anteprima nell’agosto scorso da The Intercept che aveva rivelato alcuni dettagli del progetto portando alla luce, ad esempio, il nome denominato in codice “Project Dragonfly“, e soprattutto si era parlato su come il nuovo motore di ricerca avrebbe censurato i contenuti ritenuti offensivi dal governo cinese (ad esempio le domande sui “diritti umani”).
Un promemoria interno generato dai dipendenti di Google aveva spiegato che gli utenti cinesi sarebbero stati seguiti da vicino e che il governo cinese avrebbe avuto accesso completo ai loro dati.
Del memorandum scritto da un ingegnere di Google incaricato di lavorare al progetto era già stato rivelato che il sistema di ricerca avrebbe richiesto agli utenti di loggarsi per effettuare le ricerche, tracciare la loro posizione e condividere con un Chinese partner la cronologia delle ricerche fatte, il quale avrebbe avuto “accesso unilaterale” ai dati.
Da qui si è aperta negli ultimi mesi una disputa interna a Google con oltre 1.000 dipendenti che hanno firmato una lettera interna dove si metteva in dubbio la decisione di sviluppare il motore di ricerca per la Cina e la cosa ha portato addirittura alle dimissioni di alcuni di loro che hanno deciso di non aderire al progetto.
Un ricercatore di Google, Jack Poulson, ha dichiarato di ritenere che fosse sua “responsabilità etica dimettersi per protestare contro la perdita dei nostri impegni pubblici in materia di diritti umani”. Ha anche accusato che il Progetto Dragonfly era una violazione del precedente manifesto AI di Google, che si impegna a non utilizzare o sviluppare “tecnologie il cui scopo contravvenga ai principi ampiamente accettati del diritto internazionale e dei diritti umani”.
Il New York Times ha inoltre scritto: “Nella lettera, che è stata ottenuta dal New York Times, i dipendenti hanno scritto che il progetto e l’apparente disponibilità di Google a rispettare i requisiti della censura cinese “sollevano questioni morali ed etiche urgenti”.
In difesa del progetto, Pichai ha detto a Wired: “Volevamo imparare come sarebbe stato se fossimo stati in Cina (…) Data l’importanza del mercato e il numero di utenti che ci sono, ci sentiamo obbligati a riflettere attentamente su questo problema e ad adottare una visione a più lungo termine”.
Un mercato di 800 milioni di utenti sono un numero che per qualsiasi tipo di azienda è quasi impossibile non tenere di conto, anche se le profonde implicazioni morali ed etiche di diventare uno strumento di sorveglianza del governo cinese dovrebbero far riflettere attentamente e far operare con un’attenzione particolare.
[via searchengineland.com]