Il Caso Buondì Motta: un punto di vista di Marketing strategico

buondi motta spot pubblicità

La pubblicità con l’asteroide ha fatto parlare tutti, ma questo non significa affatto che sia efficace in termini di marketing.

Negli ultimi giorni se avete una connessione Internet avrete probabilmente visto lo spot Buondì Motta (o ne avete almeno sentito parlare.)

E nonostante immagino che nessuno ne sentisse il bisogno, mi sono ritrovato a scrivere la mia opinione.

Premessa d’obbligo: la mia analisi è di marketing, non certo sulla questione “etica” riguardo la correttezza politica dello spot, data la morte dei genitori della bambina.

La sotto-polemica sui gruppi di marketing è stata incentrata sull’efficacia dello spot e, in generale, su cosa debba essere la pubblicità.

Si tratta appunto di un’opinione, dato che non conosciamo gli obiettivi di marketing né abbiamo analisi di vendita sul lungo periodo.

La mia analisi parte da cosa ritengo debba fare il marketing: Il marketing serve a vendere. Come ha scritto il mio collega Alessandro Sportelli sul suo gruppo WMI :
 
“Partiamo col darci una regola generale per la “lettura e corretta interpretazione” di qualunque strategia e azione di marketing. L’efficacia del marketing si misura con i “numeri che contano” e cioè sempre in termini di incremento di clienti, vendite, profitti.
In sintesi per me ciò che “funziona” deve direttamente o indirettamente contribuire a incrementare i numeri che contano a breve e/o a medio e/o a lungo termine. Se non siamo d’accordo su questo, allora siete nel gruppo sbagliato.”
 
E il marketing e la comunicazione devono sempre essere orientati al prodotto secondo me. Ovvio che senza conoscere i fatturati di Motta sul lungo periodo non possiamo fare un’analisi precisa, ma io ho espresso un’opinone basata su principi cardine del marketing (Focus e posizionamento).
 
Per farvi un esempio: anni fa si dibatteva se fosse utile aumentare l’engagement di una pagina Facebook con argomenti fuori tema (ad esempio gattini.) Per me il marketing deve SEMPRE essere focalizzato sul prodotto.
 
Io sono un advertiser, e preferisco fare un business plan basato su investimenti da cui poi decidere le buyer personas e poi comunicazione e target. E la comunicazione dev’essere comprensibile per il target e legata a un prodotto.
 
Per capire se una comunicazione funziona per un determinato target nell’adv si utilizzano le conversioni. Quando non si possono tracciare è più complesso capire l’efficacia delle azioni di marketing (ma non impossibile.)
 
Ma per averne un’idea basta farsi una domanda: Il mio target ha capito cosa si sta promuovendo? Vedendo l’inserzione penserà a Buondì Motta? Qualcuno se ne ricorderà ovviamente, ma quanto sarà l’ad waste (la mole di pubblicità sprecata perché inutile)?
 
Mio padre era un pubblicitario, e ricordo che quand’ero piccolo e guardavamo la televisione insieme, si incazzava terribilmente ogni volta in cui non si capiva quale prodotto si vendesse.
 
Qui magari si capisce, ma come detto: quant’è l’ad waste?
 
Sempre per citare Alessandro,
 
“Va aggiunto che l’incremento della visibilità di un brand, così come ad esempio l’incremento dei like su una pagina, NON è detto produca un incremento “proporzionale” dei risultati. Può darsi di si, può darsi di no. Dipende da numerosi, e non banali, fattori.
Il vero problema è che il pensiero comune, o meglio “illusione comune”, porta a credere che un incremento di visibilità produca IN AUTOMATICO un incremento di vendite. Questa è una menzogna. Questa è una menzogna “comoda” per chi vende numeri che NON contano, come i venditori di like, per fare un esempio.”

Per cui dire “L’importante è che se ne parli” è una sciocchezza.

 
Non solo: Quanta della visibilità raggiunta da Motta è fuori target e riguarda una bolla di addetti ai lavori?

Quanto durerà nel tempo l’effetto “shock’”. L’adv deve ripetere costantemente concetti semplici per ottenere risultati, o scioccare di continuo, cosa praticamente impossibile.
 

E poi: la mia pubblicità è specifica per il mio prodotto o potrebbe andare bene per qualsiasi altro prodotto? La risposta in questo caso direi sia ovvia: spot molto simili (diciamo dei “template”).

Ecco qualche esempio.

La differenza è la “satira sulle pubblicità di merendine”, che sarebbe il “punto di forza creativo”, anche se l’asteroide ha scatenato la viralità. Ma anche in quel caso poteva essere qualsiasi merendina prodotto dolciario.

 
Come dicevo sopra, non possiamo sapere l’efficacia della campagna senza sapere gli effetti sul fatturato sul lungo periodo, per cui ovviamente si tratta della mia opinione, basata sulla mia esperienza di marketing.
 
L’obiezione “la pubblicità non serve a vendere ma a fare awareness” non regge. Primo, perché tutte le pubblicità prima o poi devono portare a vendere, e poi comunque una visibilità che si allontani dal posizionamento del brand non ha senso.
 
Ma allora questo significa che non si possa mai fare pubblicità creativa? Assolutamente no, semplicemente che la creatività deve essere al servizio del marketing e consolidare il brand.
È molto difficile e richiede studio, non basta riprendere qualche idea vista in giro o atteggiarsi a “genio creativo”.
 
Ecco qui qualche esempio (postato da Fabio Sutto) di spot creativi con al centro il prodotto:






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L'autore

4 risposte

  1. Partiamo dalle tue affermazioni.
    Il marketing serve a vendere: sono d’accordo.
    Il marketing deve SEMPRE essere focalizzato sul prodotto: quasi completamente d’accordo.
    “L’importante è che se ne parli” è una sciocchezza: solo parzialmente d’accordo.
    Non conosciamo gli obiettivi di marketing dell’azienda, ma per un prodotto caduto nel dimenticatoio, che solo gli over 40 conoscevano, il cui marchio ha cambiato proprietà diverse volte negli ultimi anni, che se ne parli innanzitutto serve a far pèrendere coscienza della sua esistenza. Le mamme di oggi sono le 30enni e i bambini certamente non sanno cos’è il Buondì.
    L’awareness di brand mi pare un punto di partenza basilare e ancora valido per qualsiasi piano di marketing che riguardi un prodotto nuovo o poco conosciuto.
    Poi sono certo che tra un po’ la comunicazione cambierà rotta.
    😉

  2. Assolutamente d’accordo con quanto scritto.
    Quello su cui non sono d’accordo è su quanto affermato da qualcuno, che questa pubblicità non va bene e basta.
    Inizialmente non mi convinceva tanto, ma poi riguardandola e leggendo i commenti di altre persone mi sono ricreduta. Questo perché ho capito che non era di certo la classica pubblicità rivolta ai bambini, bensì ai genitori che da piccoli mangiavano i Buondì.
    Proprio oggi ho dato un’occhiata alla pagina Facebook e ho trovato tantissimi commenti positivi. A quanto pare molti si sono “ricordati” dei Buondì e li hanno comprati al supermercato.

    ps: allora tuo padre si sarà incazzato molto guardando lo spot di… “Adesso io esco e vado col primo che incontro” – “Buonaseeeeeeera!”

  3. É verissimo che non dice nulla di interessante sulla merendina, per cui se non faranno seguire all’attenzione trovata una seconda mandata che valorizzi il prodotto rimarrà un fenomeno di costume, lo spot.

    Noi over 40 consideriamo Buondì un marchio come quello dell’Adidas , storico… Ma la merendina per la maggior parte dei miei conoscenti è un pezzo di gommapiuma.

    Saprà riposizionarsi per il gusto nell’immaginario?

    Beh, ha apparecchiato una buona tavola: ora dovrebbe portare una pietanza che invogli

  4. lo spot della frase “Adesso esco e vado col primo che incontro” – “buonaseraaa” fece clamore, creo un modo di salutarsi;divenne un CULT.
    Ne parlavo sere fa con degli amici ma nessuno però ricordava di quale pubblicità si trattasse.
    Si può dire che lo spot funzionò? non ricordando quale sia la pubblicità, non posso neanche analizzare gli andamenti delle vendite dopo lo spot.
    voi che ne pensate?

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